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Trauma cranico, a un terzo delle persone i sintomi non passano. Ecco chi è a rischio

Trauma cranico, a un terzo delle persone i sintomi non passano. Ecco chi è a rischio

Un colpo alla testa durante una gara sportiva, un incidente stradale, una caduta in casa: il trauma cranico è tra gli infortuni più frequenti. Con conseguenze diverse, a seconda della gravità. Quello più comune si chiama concussivo, noto ai più come commozione cerebrale: è un tipo di lesione traumatica che causa una temporanea alterazione delle funzioni cerebrali. Ed è proprio questo ad aver attirato l’attenzione dei ricercatori canadesi della University of Calgary–Foothills Medical Centre, i quali hanno analizzato a fondo lo stato di quasi 600.000 persone accertando che un terzo di quelle che avevano subito un trauma cranico lieve sviluppavano sintomi persistenti dopo la commozione cerebrale. Lo studio pubblicato su Jama è andato a fondo del problema individuando i fattori che rendono alcuni più inclini a manifestare problemi a lungo termine.

In 70 milioni incappano in un trauma cranico

Il punto di partenza della ricerca è questo: circa 70 milioni di persone subiscono ogni anno un trauma cranico (TBI), che nell'80% dei casi è di lieve entità (mTBI), conosciuto come commozione cerebrale. I sintomi della commozione cerebrale, come mal di testa, vertigini, nausea e vomito, in genere si risolvono entro 30 giorni. “Ma non per tutti, perché fino al 30% degli adulti continua ad averli nel tempo, e per questo vengono definiti sintomi persistenti dopo una commozione cerebrale (PSAC), o sintomi persistenti post-commozione cerebrale - spiegano i ricercatori -. Parliamo di conseguenze che possono avere un impatto negativo sulla qualità della vita e prolungare il ritorno alle attività quotidiane. Una prognosi accurata per il recupero dalla commozione cerebrale rimane una priorità assoluta per migliorarne la cura”.

Il punto di partenza

Gli scienziati canadesi sono partiti dalla necessità espressa da un recente studio trasversale, condotto appunto su persone che avevano subito una commozione cerebrale. “Caregiver e medici hanno evidenziato che l'identificazione dei fattori predittivi di un recupero prolungato è la principale domanda di ricerca senza risposta in questo campo - hanno spiegato -. L'obiettivo dell'identificazione dei fattori prognostici per la PSAC è sviluppare strategie personalizzate per gestire i sintomi e supportare il recupero. Uno strumento clinico standardizzato per identificare chi è a rischio potrebbe facilitare l'invio a risorse specializzate, ma ora non esiste uno strumento prognostico ampiamente utilizzato per gli adulti con commozione cerebrale. Perciò la sintesi dei fattori di rischio è necessaria per sviluppare uno strumento prognostico accurato”.

Di conseguenza, l'obiettivo principale della revisione sistematica e meta-analisi condotta dalla University of Calgary–Foothills Medical Centre è stata quella di “identificare i fattori clinici acuti associati a PSAC negli adulti con trauma cranico medio”.

Come si è svolta la ricerca

Nella loro revisione sistematica, i ricercatori canadesi hanno esaminato i risultati di 15 studi che hanno coinvolto quasi 600.000 persone. Hanno valutato i fattori associati al trauma cranico subito a più di 1 mese dalla commozione cerebrale e hanno riscontrato che “chi presentava problemi cognitivi (difficoltà di concentrazione) aveva maggiore probabilità di sviluppare sintomi a lungo termine dopo un trauma cranico, in grado di permanere da 1 e 6 mesi”. Ma è emerso pure che “chi soffriva di ansia, depressione e disturbi del sonno, era a rischio sintomi permanenti sino a 3 mesi”. Mentre altre variabili, come età, lesioni extracraniche e un precedente trauma cranico, sono risultate relativamente meno importanti per arrivare allo stesso rapporto causa-effetto.

Cosa c’è dietro un trauma cranico

Ma quando si subisce un trauma cranico, cosa avviene nel nostro cervello? Lo spiega Alessandro Olivi, professore di Neurochirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Policlinico Gemelli. Che premette: “Il trauma cranico può avere gradi di gravità diversi”. E spiega: “In questo caso parliamo di un trauma che causa la concussione, evento acuto il più delle volte associato a perdita di coscienza temporanea. Non è dei più gravi, ossia di quelli che che possono lasciare conseguenze significative, come emorragie. Ma è indice di un trauma subìto da cervello e sistema nervoso centrale, che porta a una temporanea perdita di coscienza molto breve. Letteralmente si tratta di agitazione del cervello all'interno della scatola cranica che genera una interruzione temporanea dei circuiti cerebrali”.

Perché i sintomi non passano

Quanto al caso esaminato dallo studio canadese, ossia quel 30% di pazienti che, dopo aver subito un trauma cranico, vede permanere a lungo gli effetti che ne derivano, Olivi sottolinea: “Il riferimento va a sintomi persistenti (Persisting symptoms after a concussion), come mal di testa, capogiri e nausea. Perché succede? Difficile dirlo, non hanno riscontro radiologico. Diciamo che alcune persone sono più sensibili”.

“Quello che lo studio ha cercato di scoprire è quali siano i fattori, a uno, tre e sei mesi dal trauma cranico subìto, che possano predire chi è sensibile ai sintomi persistenti - prosegue Olivi -. In questo caso, i fattori che entrano in gioco sono tre: sintomi cognitivi; una storia medica pre-trauma di depressione o di disturbi del sonno; la cosiddetta amnesia e perdita di coscienza”.

Ma è possibile che questi sintomi durino anche tutta la vita? “Effettivamente possono verificarsi situazioni croniche, può accadere che qualche paziente possa accusarli per lungo tempo - conclude l’esperto -. Come trattarli? Con farmaci mirati per controllare cefalea, nausea-vomito e capogiri. Tenendo presente che si può ricorrere anche a un supporto psicologico”.

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