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Obesità, qual è il farmaco più giusto? La risposta nell’algoritmo

Obesità, qual è il farmaco più giusto? La risposta nell’algoritmo

Hai voglia a parlare di stile di vita da modificare o di interventi psicologici. In realtà nella maggior parte delle sessioni del congresso della Società europea di obesità Eco 2025, che si chiude oggi a Malaga, si parla soprattutto dei nuovi farmaci per perdere peso, che gli esperti definiscono una rivoluzione dirompente, una svolta, un cambio di paradigma nell’affrontare l’obesità. La svolta l’ha segnata il semaglutide di Novo Nordisk, che è arrivato per primo e ha dalla sua studi dettagliati e precisi sul suo ruolo di protezione cardio-renale. Poi è stata la volta di Eli Lilly con tirzepatide, altro agonista di GLP1 come semaglutide ma che agisce anche sui recettori Gip, un doppio meccanismo che probabilmente è il motivo per cui fa perdere più peso del concorrente.

Oggi le due aziende si contrappongono a colpi di studi di paragone diretto e persino visivamente, con stand identici per dimensioni e diversi per colore, uno che fronteggia l’altro nella zona espositori. Che non sia solo una contesa commerciale è evidente: i due farmaci sono entrambi efficacissimi e con una potenzialità di utilizzo enorme, con quel che ne deriva in termini di guadagno e di conti aziendali.

Ma, al di là della guerra commerciale, oggi il punto è un altro. Come si fa a scegliere quale farmaco utilizzare – c’è anche il liraglutide e qualche altra molecola - per trattare i pazienti obesi e in sovrappeso? Di che cosa bisogna tenere conto? Ci sono pazienti obesi che hanno già una o due complicanze, quando e come trattarli e con quale molecola? Inoltre: chi paga? In molti Paesi, Italia inclusa, questi farmaci sono rimborsati dal Sistema sanitario nazionale ma soltanto per i pazienti con diabete. Chi vuole perdere peso deve pagarseli, e parliamo comunque di cifre non indifferenti: da 200 a 380 euro al mese a seconda del dosaggio per semaglutide e da 345 a 480 per tirzepatide. Anche se molte farmacie promettono sconti del 20% e alcune aziende ospedaliere offrono il pacchetto visita più farmaco a prezzi più interessanti.

Il costo infatti - considerato che l’obesità è una malattia cronica e i farmaci sono da prendere a vita – rischia di far saltare il bilancio familiare. Sospenderli dopo aver raggiunto il peso target? Chi non riesce a sostenerne il peso economico talvolta si ferma, ma il risultato è che il peso perduto si riprende tutto quanto.

Non solo Bmi

Allora che fare? Una possibile soluzione è stata prospettata da un pool internazionale di esperti Easo (Associazione europea per lo studio dell’obesità). Per l’Italia c’è il professor Luca Busetto, vicepresidente Easo e direttore dell’Unità di Dietetica e Nutrizione clinica dell’università di Padova. A fronte delle possibilità offerte dai due principali farmaci e anche dagli altri come si individua quello più adatto ad ogni paziente? “Con un algoritmo che vada oltre la semplice valutazione antropometrica – precisa Busetto – e che tenga conto delle complicanze: molte complicanze metaboliche e cardiovascolari non dipendono dalla quantità del tessuto adiposo ma dalla sua qualità e da dove si trova. I pazienti con Bmi tra 25 e 30 (forte sovrappeso, nda) ma con un rapporto circonferenza vita-altezza elevato (fino a 0,53 è normale, nda) sono a maggior rischio complicanze, per esempio prediabete o pressione e colesterolo alti e vanno trattati con la stessa intensità perché hanno lo stesso rischio di infarto di chi ha un Bmi di 33. Oggi il 40% della popolazione ha un eccesso di peso localizzato, non bisogna guardare solo il Bmi”.

Priorità alle complicanze

Dare quindi priorità alle complicanze. "Se non ho complicanze in un paziente obeso posso utilizzare uno dei sei farmaci oggi a disposizione a seconda del mio obiettivo di perdita peso – dettaglia Barbara McGowan, professoressa di Endocrinologia al King’s College di Londra – ma se il paziente ha per esempio un problema di dolori alle ginocchia o una patologia cardiovascolare userò certamente il semaglutide perché è l’opzione migliore certificata dagli studi. Se ha una sindrome di apnea ostruttiva nel sonno o la Mash (steatoepatite associata a disfunzione metabolica) il tirzepatide. Devono essere gli studi a guidarci”.

Quanti chili perdere: guardare alla percentuale

Un’altra questione – che rimette al centro della discussione i due farmaci – è quanti chili deve perdere un paziente. “Non mi interessa far perdere a tutti il 30% del proprio peso – continua Busetto – e quindi usare il farmaco più potente. Bisogna capire qual è l’obiettivo da raggiungere per quel paziente che ho di fronte rispetto al peso di partenza. Se mi basta perdere il 10% non ho motivo di usare il farmaco più performante. Bisogna modulare la terapia in base agli obiettivi e alle armi che abbiamo. Non è una rincorsa al detersivo che lava più bianco”. Detersivo che rischia di costare troppo al singolo paziente. A meno che l’obesità non venga riconosciuta nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, cosa che preluderebbe a una rimborsabilità da parte del Sistema sanitario.

Li darà il Ssn anche agli obesi?

Ma allargare la platea dei potenziali utilizzatori non provocherebbe voragini nel Ssn? E quanti potrebbero essere? “Ragioniamo sui 6 milioni di obesi italiani – continua Busetto – se togliamo un 20% di questi che ha il diabete e già ha il farmaco, e poi chi ha già avuto un evento cardiovascolare o un ricovero per scompenso potremmo arrivare a dei numeri ragionevoli. In ogni caso con piano terapeutico, prescrivibilità da parte di specialisti individuati dalle regioni e distribuzione per conto (i farmaci vengono acquistati dalle regioni ma dati al paziente dalle farmacie territoriali, nda) il controllo è assicurato”. Oggi la platea attuale di chi si paga i due farmaci di tasca propria per perdere peso è di circa 30mila persone, con una tendenza in crescita.

repubblica

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