Mission to Kiev, un progetto per curare le ferite di guerra

Curare le ferite di guerra per un ritorno alla vita, che significa curare anche le cicatrici psicologiche che le bombe e la violenza lasciano dietro di sè. Il progetto 'Missione to kiev' ha questo obiettivo, utilizzando una innovativa tecnologia: in un anno sono stati trattati 67 pazienti, tra soldati ucraini e civili, di cui 15 bambini, 26 donne e 26 uomini. Tutti hanno avuto un esito positivo, ed i dati saranno oggetto di un articolo scientifico, il primo a dimostrare la possibilità di migliorare le cicatrici di guerra. I primi risultati nella cura di pazienti straziati da cicatrici devastanti, ottenuti con la nuova metodologia Biodermogenes, sono stati presentati da dottor Yehor Kolodchenko di Kiev al congresso della Società italiana di medicina estetica (Sime) a Roma.
Secondo la Un human Rights Office, tra febbraio 2022 e il 31 dicembre 2024, sono rimasti feriti in Ucraina almeno 28.382 civili, tra cui 1.833 bambini. È perciò davvero importante, sottolineano i medici ucraini, offrire un percorso terapeutico, sia per l'elevato numero di pazienti sia perché tali cicatrici determinano un difficile ritorno alla vita normale. I pochi studi esistenti dimostrano che le principali ferite di guerra sono da ustione, conseguenza del fatto che l'aria intorno alle esplosioni diventa rovente per un raggio di decine di metri e tutti coloro che vengono coinvolti da tali onde d'urto termiche sono esposti a lesioni a mani, volto e collo, ovvero le parti non coperte da abbigliamento.
Trattare tali cicatrici non è semplice, è una sfida. A coglierla è stato Maurizio Busoni, professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, che ha ideato 'Mission to Kiev', progetto che si avvale del Patrocinio dell'Università di Verona con la collaborazione del professor Andrea Sbarbati e dell'ingegner Sheila Veronese, del professor Francesco D'Andrea dell'Università Federico II di Napoli e del Dottor Yehor Kolodchenko, presidente della Association of Laser Medicine and Cosmetology - Kyiv, Ukraine. Ad essere utilizzata è ls nuova tecnologia Biodermogenesi, oggi presente in 32 Paesi e utilizzata in numerose università: agisce favorendo direttamente la rigenerazione cutanea erogando tre tipi di stimolazioni (vacuum, campi elettromagnetici ed una leggerissima stimolazione elettrica) e riesce a riattivare il circolo cutaneo, favorendo il recupero del normale calibro dei capillari, con conseguente ossigenazione del tessuto. Contemporaneamente i campi elettromagnetici favoriscono la formazione di nuove fibre elastiche e di collagene che permettono di rimodellare il tessuto cutaneo, avvicinandolo alla sua forma migliore.
La complessità delle cicatrici di guerra, spiegano gli esperti, si deve ai composti chimici abbinati ai proiettili e agli esplosivi destinati ad aggredire la pelle in un secondo tempo, causando ulteriori lesioni di estrema gravità. "Nonostante la storia sia scandita dalle guerre, sino ad oggi nessuno si è preoccupato di curare le cicatrici dei feriti sopravvissuti - sottolinea Busoni -. Attualmente non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno determinato da tali cicatrici. Pertanto siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, quali ad esempio dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo, come le ulcere di Marjolin, che si possono manifestare anche 30 anni dopo la ferita. Questo ha permesso di sviluppare una scala di valutazione delle cicatrici di guerra che abbiamo denominato Powasas - Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale- che è stata adottata per Mission to Kiev e ha permesso di determinare la gravità delle lesioni e successivamente di valutare i miglioramenti apportati". La tecnologia, sottolinea Kolodchenko , "è completamente indolore, non traumatica, non invasiva, e migliora davvero la condizione della pelle".
"Sapere che oggi possiamo aiutare tanti adulti e tanti bambini a ritrovare il sorriso è la più grande soddisfazione per coloro che lavorano nell'ambito della medicina", conclude Busoni.
ansa