Il numero record di centenari ci dice molto sulla sanità italiana

Foto di Danie Franco su Unsplash
l'editoriale del direttore
Secondo l’Istat, oltre 23.500 italiani hanno superato i cento anni: un aumento del 130 per cento rispetto al 2009. Un risultato che parla non solo di salute e assistenza familiare, ma anche della forza della sanità pubblica e territoriale, spesso sottovalutata
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Le buone notizie, quando arrivano, solitamente vengono nascoste in un boxino a pagina venti, perché una buona notizia, quando arriva, di solito ha l’effetto di un cazzotto: sfida il mondo percepito, ribalta il principio di realtà, scardina l’agenda del catastrofismo universale. Nel caso specifico, la notizia che ci ha colpito ieri arriva dall’Istat, non riguarda la manovra di governo, non riguarda la politica, ma riguarda un dato che dovrebbe interessare chiunque abbia il desiderio di spostare, come dire, il proprio orizzonte dalla gestione del presente all’ideazione del futuro. L’Istat, ieri, ha confermato che l’Italia resta uno dei paesi più longevi al mondo. E ha aggiunto a una buona notizia un’altra notizia ancora più incoraggiante: con oltre 23.500 centenari al 1° gennaio 2025, le persone che in Italia hanno più di cento anni sono più che raddoppiate dal 2009. Per l’esattezza, sono il 130 per cento in più. Ognuno è libero di considerare questo risultato dell’Italia come un successo che è avvenuto nonostante il nostro sistema sanitario o anche grazie al nostro sistema sanitario.
Noi, nel nostro piccolo, propendiamo per la seconda tesi, propendiamo cioè per l’idea che il Sistema sanitario nazionale con tutti i difetti che può avere sia un gioiello da preservare, da curare, da coccolare, da alimentare, e il dato sui centenari dovrebbe essere lì a ricordarci l’importanza di avere un’opinione pubblica educata sul tema della sanità non a colpi di propaganda, di catastrofismo, di pessimismo, di allarmismo ma a colpi di fatti, di numeri, di dati e magari persino di battaglie anti demagogiche. Ovvero, l’esatto opposto di ciò che capita ogni volta che un governo, di qualsiasi colore, si ritrova a battagliare sui temi della sanità. Ogni anno, una maggioranza tenta di trovare un modo per rafforzare il sistema sanitario, mettendo qualche soldo in più (nel 2026 il Fondo sanitario nazionale arriverà a 143 miliardi, nel 2027 a 144, nel 2028 a 145: la spesa sanitaria in Italia è al 5,9 per cento del pil, la media europea è al 6,5). E ogni anno, destra e sinistra, scelgono con cura di mettere da parte gli unici tre temi, oltre al tema dei temi che riguarda i salari, che potrebbero permettere alla sanità di essere ancora più performante. Primo punto: spendere meglio, non necessariamente di più, cosa che non sarebbe difficile considerando il fatto che ogni anno l’Italia butta via 50 miliardi in esami inutili e farmaci superflui. Secondo punto: scegliere i medici per competenza, non per appartenenza, cosa che non sarebbe difficile se la politica scegliesse di allontanare la politica dalla sanità. Terzo punto: combattere la demagogia della politica dei territori, che vorrebbe ospedali in ogni angolo delle città per accontentare gli elettori, e ricordare che oggi l’80 per cento dei pazienti ricoverati potrebbe essere curato a casa o in strutture di prossimità, se solo il sistema fosse organizzato per farlo, e che dunque la vera rivoluzione della sanità non passa solo dai miliardi ma prima di tutto dalle regole.
I dati dell’Istat, da un certo punto di vista, confermano che la strada dell’anti demagogia è quella giusta, per avere un’Italia più in salute. Liguria, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Sardegna e Molise sono tra le regioni con la più alta concentrazione di centenari e sono non a caso anche le regioni dove la medicina territoriale è stata storicamente più radicata. E il fatto che il 91 per cento dei centenari viva in famiglia, e non in istituti, suggerisce che la longevità italiana non dipende solo dalle tecnologie mediche, ma anche, come sembra voler ricordare l’Istat, da una combinazione di assistenza famigliare, medicina di territorio e welfare relazionale. Il futuro della cura, come ci ha ricordato mesi fa il professor Giuseppe Remuzzi, non è solo ospedaliero, ma di prossimità e di comunità. Il Sistema sanitario nazionale è più forte di come lo descriviamo ma per renderlo ancora più forte la politica dovrebbe iniziare a occuparsi di ciò di cui si occupa poco: merito, organizzazione, depoliticizzazione, e con un pizzico di ottimismo in più.
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